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Nella cruna dell’ago: come si cuce un prodotto di lusso?

Daniele Orlandi, docente del Mita di Scandicci e direttore commerciale di Del Vecchia Group

 

 

«A differenza del passato oggi le griffe utilizzano tantissimi materiali differenti, per questo è importante insegnare ai ragazzi come trovare le soluzioni giuste nel minor tempo possibile, anzi nel ‘tempo zero’ che detta il sistema». A spiegare cosa guida la scelta di macchinari, aghi e soluzioni nella fase di realizzazione di un prodotto destinato al settore del fashion luxury è Daniele Orlandi, docente di Materiali, componenti e cicli di produzione al Mita di Scandicci e direttore commerciale di Del Vecchia Group. 

 

«I macchinari da utilizzare vengono scelti in funzione della forma dell’oggetto – spiega -: quando l’ufficio stile consegna all’azienda il modello da realizzare, è necessario prima di tutto ingegnerizzare il progetto, cioè mettere a punto le fasi necessarie a creare i singoli pezzi che lo comporranno». Le variabili da considerare sono moltissime: ad esempio se la realizzazione prevede una cucitura a mano, questo creerà un collo di bottiglia importante nel processo produttivo: per questo è necessario fornire loro tutte le skill riassumibili nel problem solving.

 

Sul fronte della scelta degli aghi il tema si fa ancor più complesso. «La scelta degli aghi è strettamente legata a una peculiarità che sta assumendo il settore. Tutti i brand del  lusso stanno subendo cambiamenti a livello direttivo e di stile,  che si ripercuotono sui prodotti e materiali. Rispetto a dieci anni fa, quando si tendeva ad usare sempre gli stessi pellami e tessuti, oggi i materiali che vengono gestiti dalla filiera sono tantissimi e molto diversi fra loro. Basti pensare che nella sua ultima collezione Alessandro Michele ha proposto più di 200 articoli tutti in varianti differenti».  

 

Sul fronte della pelletteria ci sono poi altre specificità da rispettare. «In pelletteria si parla di impuntura, non di cucitura; un dettaglio che definisce la qualità dell’oggetto. Di solito il filo è sovra-colore, messo in evidenza proprio per distinguerne la qualità. Quando l’ago impatta sulla pelle, se non è scelto bene e non è abbinato al giusto filo e al giusto macchinario, crea una spaccatura, generando un difetto che è la prima cosa che si nota. Per evitare questi errori esistono anche aghi creati appositamente per una singola lavorazione».

 

E in questo senso il Mita rappresenta una fucina creativa. «Il confronto con i ragazzi offre anche la possibilità di analizzare il modo in cui si comportano i prodotti. Si tratta di una scuola che non subisce le innovazioni ma rappresenta un vero e proprio banco di prova per macchinari e componenti: provando e cercando soluzioni si riesce a raggiungere quegli standard qualitativi che il settore del lusso richiede. Ogni caso viene affrontato con un approccio nuovo e a volte vengono fuori soluzioni davvero geniali».

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