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Marco Trapani - CEO di EAM - racconta le sfide della sua impresa nella filiera degli accessori moda

 

 

 

EAM è una azienda artigiana che offre servizi all’avanguardia per la lucidatura della superfici metalliche ai principali brand del lusso.  Il settore degli accessori ha subito una brusca frenata negli ultimi mesi, secondo lei qualcosa cambierà con l’anno nuovo?

 

Credo che l’incertezza e la volatilità che hanno caratterizzato il mercato negli ultimi due anni, dovuto anche a uno scenario geo-politico instabile, continueranno a rendere difficile qualsiasi previsione ancora per i primi mesi del 2024.   Personalmente cerco di fiutare il vento come farebbe un bravo stratega della vela, percepisco che sta cambiando direzione, vedo raffiche qua e là, ma tutto intorno è calma piatta ed è difficile capire che direzione prenderà davvero.  Per quanto riguarda EAM, possiamo ritenerci molto soddisfatti dei risultati ottenuti.   Avevamo chiaro che il fatturato del 2022 sarebbe stato impossibile da replicare, perché era in qualche modo falsato dalla ripresa post-covid, ma ad oggi abbiamo già superato gli obiettivi che ci eravamo dati per il 2023 e siamo vicini ai numeri del 2022.    

 

In attesa di capire quale direzione prenderà il vento, che cosa pensa sia necessario fare per arrivare pronti alla ripartenza?

 

Siamo tutti d’accordo che serve innovare. Ogni giorno nella nostra filiera, e non solo, si parla di innovazione, ma non basta nominarla perché avvenga.  È  necessario che anche le piccole imprese, che hanno le competenze e il know how per contribuire a questa innovazione,  siano messe nella condizione di fare ricerca e sviluppo e di investire in nuove tecnologie.  La finanza agevolata e gli incentivi statali sono sicuramente un aiuto, ma non sono sufficienti. Servono leader di filiera che l’innovazione, oltre ad aspettarsela da noi, siano anche disposti a pagarla.   Alcuni già lo fanno, ma non sono ancora abbastanza.

Per esempio, sto notando come i brand stiano spingendo il design degli accessori verso geometrie sempre più complesse.   Mi arrivano nuovi articoli da testare con forme molto sofisticate. Ben venga, EAM è alla ricerca continua di nuove sfide, ma con le tecnologie e i processi di lavorazione che abbiamo a disposizione oggi è difficile ottenere lo shining che chi ha disegnato o progettato l’accessorio si aspetta.  Anche i macchinari di nuova generazione che abbiamo acquistato, che potenzialmente potrebbero dare quei risultati, hanno bisogno di ulteriori sviluppi per rispondere alle esigenze del settore fashion.  Che un’impresa con la capacità produttiva di EAM possa auto-finanziarsi per fare ricerca e sviluppo sarebbe impensabile, anche se a gestirla al posto di Marco Trapani ci fosse Mago Zurlì.  Nonostante tutto, con il mio T.EAM sperimentiamo e sviluppiamo anche nuovi macchinari, ma arriviamo a un certo punto e poi ci imbattiamo in ostacoli che oltre che finanziari, sono anche di processo.  Se EAM potesse anche portare le sue competenze e il suo know how già in fase di progettazione dell’accessorio, o di macchinari che serviranno a trattarlo, sarebbe più facile e meno oneroso per tutti arrivare ai risultati che i brand si aspettano.   

 

Dare alle piccole imprese come EAM il supporto finanziario di cui hanno bisogno per poter fare ricerca e sviluppo, coinvolgerle già in fase di progettazione dell’accessorio, cos’altro ha da dire ai brand e ai leader di filiera? 

 

Quello che in diversi ci diciamo da tempo ma che non succede abbastanza: se lavoriamo con un obiettivo comune – la qualità - e nel rispetto di ogni singola azienda che contribuisce con il suo lavoro al risultato finale, c’è spazio per tutti.  Da anni collaboro con clienti-partner che condividono questi valori, aziende dalle quali EAM ha sempre ricevuto supporto, sia in termini di flussi di lavoro che di riconoscimento per il lavoro di ricerca e sviluppo fatto.  Ma, come dicevo prima, sono solo alcuni.

Ai brand voglio anche dire che devono sapere quanto costa davvero ogni singola fase di lavorazione necessaria per arrivare alla qualità che desiderano. In questo modo capiranno che certe richieste da parte di piccole imprese come EAM possono sembrare fuori mercato, ma non lo sono.  Tutto dipende da come si calcolano i costi e soprattutto se si hanno tutte le informazioni per calcolarli in modo corretto.  I brand devono riprendere il timone delle loro filiere, come stanno già cercando di fare, perché vengano gestite con etica e  competenza. Solo così potranno ottenere la qualità che desiderano.  Per diversi anni la gestione della filiera degli accessori per la moda ha alimentato un meccanismo di asta dei prezzi al ribasso che non ha fatto bene a nessuno. Sicuramente le piccole aziende come EAM hanno dovuto essere molto resilienti e flessibili per trovare il giusto equilibrio tra non uscire dal mercato e non rinunciare a lavorare con etica, perseguendo la massima qualità. Adesso che il vento sembra cambiare, sentiamo di avere un vantaggio competitivo perché siamo sempre più consapevoli di che cosa deve cambiare nel modo di lavorare di tutti, piccoli e grandi.  A chi  è disposto ad ascoltarci abbiamo buone idee da condividere per apportare insieme il cambiamento che serve.

 

Ha parlato di qualità come obiettivo comune da perseguire: di che qualità stiamo parlando?

 

C’è una fascia di consumatori che cerca la qualità in senso ampio. Non tutti hanno la percezione tecnica della vera qualità del prodotto, ma ci sono persone attente al dettaglio che nell’acquisto cercano una sorta di “incanto” che va oltre il prodotto tangibile.  Di fronte a un brand che non gli offre questo “incanto”, preferiranno rivolgersi a qualcun altro.  A parlare di “incanto” è Riccardo Illy nel suo libro L’arte dei prodotti eccellenti, riferendosi a quel tipo di qualità che contraddistingue il made in Italy. Una qualità fatta di dedizione, pazienza e cura che si scontra con l’atteggiamento del “tutto urgente” che da anni domina nella nostra filiera e non solo.  Marina Capizzi,  in un suo articolo sul Sole 24 Ore dello scorso settembre, parla di “filiera dell’ansia”, credo che questa espressione descriva bene quello che abbiamo patito negli ultimi anni nella filiera della moda e che stiamo patendo tuttora.  Alla fine questo ci riporta ai valori con i quali vogliamo fare business: la qualità sostenibile richiede tempo, collaborazione e rispetto.

 

Ci sembra di capire che per EAM i valori vengano prima ancora del business. E’ così?

 

I valori sono le fondamenta del nostro business.  Fare impresa in modo etico è sempre stato e sempre sarà il valore che comprende tutti i nostri valori.  Nell’etica ci sta tutto: collaborazione, rispetto, libertà, creatività, … ci può stare anche il guadagno, se tutti lavoriamo in modo etico.  Anche nei momenti più difficili non abbiamo mai rinunciato ai nostri valori.  Non siamo gli unici. Come molte altre piccole imprese italiane a conduzione familiare portiamo avanti il nostro lavoro quotidiano più per vocazione che per ritorno economico. Siamo stati costretti (e tuttora lo siamo) a prenderci rischi molto alti, anche a livello finanziario, per non perdere la nostra dignità personale, oltre che per tenere in piedi le nostre aziende e contribuire al sostentamento delle persone che lavorano con noi.  Per decenni abbiamo sofferto sulla nostra pelle il proliferare di aziende che garantivano prezzi per la lucidatura impossibili da sostenere, se fai impresa secondo il nostro concetto di etica.  Diciamo che questa situazione faceva comodo a molti attori della filiera. Adesso tutti, soprattutto chi è a capo dei brand, si stanno rendendo conto delle conseguenze di questa mala gestione e l’impatto negativo che ha avuto sulla qualità dei prodotti.

 

Prima ha detto che le sembra di percepire qualche raffica di vento, ma che in generale prevale il mare piatto.  Adesso ci ha fatto capire che non è la prima volta che le tocca timonare senza vento.  Che farà questa volta per tenere la rotta e portare la barca in porto?

 

L’unica certezza che ho è che il mare è troppo profondo per gettare l’ancora e la barca deve andare avanti anche se manca il vento. A costo di remare con le braccia, ho un T.EAM molto forte per farlo.  So anche che, nonostante il grosso lavoro di strutturazione e organizzazione aziendale fatto negli ultimi due anni,  il timone della mia barca non è ancora del tutto tarato e stabile e in momenti di crisi come questa trema un po’ la mano. Ma so anche di potermi affidare alla bussola per non perdere la rotta e se smette di funzionare la bussola posso orientarmi con le stelle, quei valori di cui parlavamo prima.  A volte seguendo le stelle (i nostri valori) capita di ritrovarsi a navigare da soli. Se capita, sarà comunque un viaggio esplorativo che ci rafforzerà e quando il vento riprenderà a soffiare avremo più consapevolezza di noi stessi e la mano sul timone sarà più sicura.

 

La metafora del mare e del capitano è molto romantica ma, in concreto, che cosa vuole fare EAM per continuare ad esistere?

 

Io sono un romantico e un passionale e penso che anche per questo sono ancora qua, insieme al mio T.EAM, a cercare di fare “buona impresa”, nonostante i tanti ostacoli che negli anni ci siamo trovati di fronte.  Ma sono anche molto concreto. Il made in Italy non si rianima semplicemente riportando le produzioni in Italia, se non c’è un’etica di processo. Per mettere a terra un’etica di processo non basta un impulso romantico, servono ragionamenti e un lavoro concreto.  Prima di tutto il processo deve essere tracciato, cosa che, per quello che vedo io, nella filiera degli accessori moda non è ancora stato fatto in modo sinergico.  Tracciare il processo serve a far emergere le criticità presenti nell’interazione tra i diversi anelli della filiera e a migliorare la sinergia tra di essi a vantaggio della qualità finale.  Tracciare il processo serve anche a ridurre la soggettività umana, a limitare l’errore dovuto all’approssimazione e alla libera interpretazione dei parametri, che vanno comunque stabiliti.  Solo così potremo stabilizzare i processi e le lavorazioni e arrivare a standard ripetibili che permettano di abbassare i costi e raggiungere livelli di qualità sostenibili.   Con la realizzazione di un impianto di vibratura 4.0 e l’acquisto di macchinari per l’elettrolucidatura a secco con tecnologia DryLyte, EAM ha sposato la transizione alle nuove tecnologie. L’obiettivo è di contriburire allo sviluppo di una lucidatura di massa capitalizzando su un know how artigianale che abbiamo generato in oltre 20 anni di attività.  Ma senza ricerca e innovazione non sarà possibile raggiungere questo obiettivo.  A questo proposito credo di aver già detto abbastanza.

 

 

Siamo a fine anno, che cosa augura ad EAM per il 2024?

 

Di rimanere l’azienda di avanguardia che siamo, di continuare ad evolverci senza snaturare il nostro DNA.  Di affrontare la transizione che stiamo vivendo consapevoli dei nostri punti di forza e delle aree in cui possiamo migliorare. Di continuare a lavorare con clienti e partner che hanno gli stessi nostri valori e magari trovarne anche di nuovi nel cammino.  Di riuscire ad avere un luogo di lavoro sempre più sostenibile e che permetta a ognuno e a ognuna di noi non solo di portare a casa uno stipendio, ma anche di acquisire più fiducia, essere sempre più consapevoli del nostro potenziale professionale e del nostro valore umano. Auguro a tutti noi di trovare il nostro posto in cui sentirci abbastanza comodi per poterci spingere oltre i nostri limiti alla ricerca del ben-essere.  “Essere bene” per me è sentire che ogni ambito della nostra vita – famiglia, lavoro, amicizie, tempo libero, passioni… - è in armonia con tutti gli altri. Non significa non avere problemi, preoccupazioni e delusioni, ma avere quella serenità e quella fiducia di base per apprendere e andare avanti anche dai momenti più difficili.  A tutti noi auguro di continuare ad essere Estranei Alla Massa (EAM), ogni volta che questo serve a preservare la nostra dignità di persone e di professionisti.  Ai nostri clienti, partner, competitor e fornitori auguro buone feste e che il 2024 sia l’anno che deve essere!  Noi ci saremo. 

 

 

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