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Un'intervista per ripartire: Andrea Calistri racconta la pelletteria italiana

Al netto del dramma che stiamo vivendo è opportuno pensare anche a quali scenari economici si prospettano per il mondo della pelletteria: un settore che dà lavoro - considerato anche il suo indotto - a centinaia di migliaia di persone e che ha l’obbligo di guardare al futuro con uno sguardo lucido e propositivo.


Ne abbiamo discusso con Andrea Calistri, titolare della pelletteria SAPAF e vice presidente nazionale di Assopellettieri, per provare a fare un bilancio della situazione a più livelli.

Signor Calistri, come ha reagito la sua azienda al Corona Virus?

La reazione della nostra azienda - come quella di molte altre - è stata una risposta in divenire: abbiamo avuto comportamenti e atteggiamenti che poi abbiamo dovuto giorno per giorno modificare con l’aggravarsi della situazione.

Prima che il COVID esplodesse in Italia aziende come la nostra - orientata soprattutto verso i mercati occidentali - avevano un atteggiamento di grande tranquillità, condiviso da clienti e fornitori; quando ha iniziato a dilagare in Italia è stato necessario fare i conti con la situazione. Vorrei sottolineare però l’enorme solidarietà che ci hanno mostrato i nostri partner internazionali, che ci hanno chiamato più volte per mostrare vicinanza e affetto e condividere con noi i possibili scenari futuri.

Quali misure avete implementato per rispondere all’emergenza?

La resilienza tipica dell’artigiano è stata fondamentale per tamponare quanto possibile l’emergenza. I passi fondamentali che abbiamo fatto sono stati due:

  • Intrattenere con tutta la clientela un dialogo aperto e ancora più intenso di prima;.

  • Virtualizzare lo showroom: dal momento in cui è diventato impossibile raggiungere l’Italia, in due giorni abbiamo permesso ai clienti di “venire a visitarci” senza muoversi dalle loro sedi.

Poi è arrivata la chiusura...

Esatto. Mi lasci dire che i tre giorni aggiuntivi concessi alle aziende per completare le commesse sono stati determinanti per minimizzare i danni. Grazie alla fantastica collaborazione dei nostri dipendenti abbiamo potuto spedire gran parte degli ordini residui, trovando anche formule più flessibili sulle modalità di pagamento con clienti e fornitori per bilanciare le inevitabili difficoltà che dovremo affrontare nei prossimi flussi di cassa.

A questo proposito, non sono mancate polemiche verso le aziende che hanno continuato a lavorare fino al 25 marzo...

Il benessere delle aziende è anche il benessere di chi ci lavora: siamo i primi a voler tutelare la salute dei lavoratori, andando ben oltre il rispetto delle necessarie norme igieniche e di sicurezza. Quando sento frasi come “prima la salute e poi il profitto” rimango perplesso. L’atteggiamento verso il lavoro - per il 99% di noi - non riguarda esclusivamente il profitto: siamo continuamente in contatto con i nostri dipendenti, ci sentiamo addosso anche le esigenze e i timori delle loro famiglie; non passa giorno senza sentirci, per affetto prima ancora che per lavoro. L’Italia, e in particolare il nostro settore, è fatta per il 90% da queste aziende, piccole unità produttive ad altissimo contenuto di ‘saper fare’, dove ogni giorno titolari e dipendenti lavorano gomito a gomito per creare i tasselli che hanno reso grande il Made in Italy nel mondo.

Qual è per lei lo stato di salute delle aziende italiane?

Al netto degli enormi problemi economici, molti hanno la paura di un nemico invisibile e incalcolabile dal punto di vista temporale: l’indeterminazione per l’imprenditore è il peggior imprevisto. Non abbiamo un arco di tempo entro cui muoverci, questo è un danno psicologico enorme: “navighiamo a vista nella nebbia”, perché non sappiamo quando e come finirà questa situazione. Siamo navigatori esperti, ma così è inevitabile avere timore!

Quali sono i problemi più gravi che state affrontando come Assopellettieri? E quali risposte intendete dare?

Il problema principale è l’annullamento della maggior parte degli ordini per la stagione invernale, che purtroppo dobbiamo considerare già persa. I dati generali di Confindustria parlano di un 30% di calo della produzione industriale: in questo scenario, la ripresa possibile è - guardando con ottimismo - a fine 2020.

 

Assopellettieri ha messo in piedi un ufficio di presidenza ad hoc sul tema: abbiamo aperto un help desk rivolto ad associati e non e abbiamo subito pensato a come tamponare le perdite, guardare al futuro e far sentire alle istituzioni la nostra voce.

 

Uno degli ambiti su cui puntiamo maggiormente è la promozione delle piattaforme on line: a nostro parere la ripresa partirà dagli e-commerce. Non è un caso che stiamo intensificando il nostro lavoro per rendere MIPEL una fiera permanente grazie a una presenza online continuata nel tempo. L’obiettivo è una piattaforma interattiva B2B e B2C attraverso la quale si potrà parlare con le singole aziende, piazzare ordini, vedere campionari, etc.

Anche la collaborazione con ICE, di concerto con il Ministero Affari Esteri e Cooperazione, è un punto cruciale: abbiamo la possibilità di offrire ai nostri associati la partecipazione gratuita a tutte le fiere organizzate nel mondo. Sottolineo come i nostri soci vadano dalla piccola pelletteria artigiana al grande brand: ora più che mai, l’obiettivo di Assopellettieri è aiutare “tutti” a trovare una via di uscita.

Abbiamo solo accennato alle richieste da sottoporre alle istituzioni: può dirci qualcosa di più?

Il tema portante è la liquidità: dobbiamo far capire che se un settore di trasformazione come il nostro non riesce a onorare gli impegni finanziari, le conseguenze a cascata vanno a colpire una rete sterminata di aziende e famiglie. Oltre agli addetti diretti c’è tutto il mondo della concia, della metalmeccanica, del tessile, etc: se i pellettieri non riescono a pagare va in crisi un pezzo d’Italia.

Abbiamo davanti tre mesi in cui presumibilmente non avremo pagamenti dai clienti, quindi sarà necessario trovare una modalità di finanziamento simile a un “prestito d’onore” garantito dallo Stato e rimborsabile in 30 anni, che impegni le imprese a pagare fornitori e dipendenti. Parliamo di un’operazione fuori dalle classiche logiche bancarie, che non vada a impattare sugli indicatori economici e finanziari delle aziende. Non dimentichiamo che si tratta di un settore che nella bilancia commerciale ha un attivo di molti miliardi di euro, e che rischia di implodere trascinando con sé una miriade di imprese.

Un intervento del genere è necessario e urgente già prima del 25 aprile: le aziende hanno già il fiato corto. Se entro fine aprile non riusciamo a immettere liquidità nel sistema rischiamo che il settore imploda. Chiediamo la possibilità di erogare a ciascuna impresa prestiti per una somma pari al 30% del fatturato 2019: un’impresa che fattura 2 milioni deve poter aver 600mila euro aggiuntivi per compensare con puntualità i suoi obblighi, fuori, ripeto, dalle consuete formule finanziarie. Naturalmente ci allineiamo alle richieste, già previste nei vari decreti, sui mutui, sui contributi fiscali e alle altre operazioni finanziarie che hanno una funzione-tampone sull’immediato.

Cosa si aspetta dal futuro?

Ogni volta che abbiamo a che fare con un evento disastroso, le cose quando ricominciano non sono le stesse di prima: dal punto di vista strettamente economico potrebbe essere finito un percorso economico e sociale (la “globalizzazione”) e aprirsi uno scenario nuovo. Anche i comportamenti sociali potrebbero cambiare: come lavoreremo, come ci daremo la mano? Questo provocherà un cambiamento nei consumi, anche se ancora non possiamo immaginare il come. Anche il sistema distributivo ne uscirà rivoluzionato: ci sarà un'impennata del consumo online (es.) che avrà ricadute anche nel nostro settore: nel lusso, prima serviva potenza finanziaria per distribuire attraverso l’apertura di negozi monomarca, forse la distribuzione online apre la porta a una differenziazione maggiore aprendo magari nuovi mercati a piccole imprese. Noi ci stiamo già attrezzando!

 

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