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Eurispes pubblica il rapporto “Strategie di difesa attiva del Made in Italy calzaturiero”

Strategie di difesa attiva del Made in Italy calzaturiero”: questo il titolo del lavoro in cui Eurispes analizza lo stato di salute del settore calzaturiero italiano.

La ricerca, curata da Alberto Mattiacci (docente di economia d’impresa a La Sapienza di Roma) evidenzia le conseguenze della crisi economica e sottolinea debolezze contingenti e strutturali di uno dei pilastri dell'export italiano e della filosofia Made in Italy.

Nel 2018 l'Italia ha prodotto 184 milioni di scarpe, confemandosi terzo paese al mondo per volumi di esportazione dopo Cina e Vietnam; il settore può contare 4.500 calzaturifici e oltre 75.000 lavoratori.

La vocazione calzaturiera di molte regioni (in primis le Marche, che contano un terzo delle imprese italiane; seguono Veneto, Toscana, Campania Lombardia, Marche, Emilia Romagna, Puglia e Piemonte) ha solo rallentato gli effetti di una crisi economica dolorosa per l'intero settore: negli ultimi 20 anni il numero di imprese si è dimezzato, mentre la forza lavoro è calata del 38%, fenomeno riconducibile solo in minima parte ai processi di automazione. Secondo i dati 2018 di Assocalzaturifici, rispetto a 10 anni fa il volume del venduto è diminuito dell’8,4% e il valore del 27,9%.

«Le crisi economiche vanno e vengono, ma bisogna guardare il fenomeno anche da un’altra dimensione» sostiene Mattiacci, direttore scientifico dello studio Eurispes, “con la rivoluzione tecnologica ed internet sono cambiati i flussi mondiali dell’economia, che sta diventando sempre più finanziaria. Il settore vive una crisi strutturale che ha molte cause, non c’è una bacchetta magica per risolvere il problema. Certamente rispetto al passato ci sono meno aiuti pubblici, i produttori nel mondo sono moltissimi, con la globalizzazione è aumentata la competizione e un paese con economia avanzata come l’Italia ha dei costi di produzione superiori. Ma la qualità media della manifattura è elevatissima, quindi i prodotti non sono cari, ma costosi, che significa migliore di altri».

Proprio sul valore intrinseco dei prodotti Made in Italy - e sulla necessità di tutelarli - Mattiacci è estremamente chiaro: «Il Made in Italy è un bene comune ma senza una legislazione chiara, il bene comune perde valore economico e sociale. Quello che ci salverà è l’identità, e nella manifattura il Made in italy è un fattore d’identità».

Il Presidente dell'Eurispes Gian Maria Fara la pensa allo stesso modo e invoca un maggiore sforzo anche politico a livello comunitario: «È tempo che l’Italia si adoperi in Europa per favorire una politica di difesa attiva a beneficio di quanti operano nel settore calzaturiero, che si fondi su una proposta mirata di azione, sostenuta da una robusta base di evidenza empirica e chiari obiettivi economici, sociali e competitivi».

«Per difendere il Made in Italy calzaturiero – conclude Siro Badon, Presidente Assocalzaturifici – chiediamo che la politica e le Istituzioni si impegnino a livello europeo per far approvare una norma che introduca l’informazione di origine obbligatoria. Se il valore fondante dei nostri prodotti risiede nell’autenticità dell’eccellenza di chi lo produce, è indispensabile che in Europa venga garantita assoluta trasparenza. Questa riforma deve essere una priorità politica del Governo, perché una norma sul Made in tutela l’impresa che crea valore e sviluppo nei territori in cui è radicata la cultura del lavoro. Dobbiamo partire da questo punto per rafforzare un comparto cruciale per l’economia, costituito da eccellenze e competenze di altissimo profilo. Certo, produrre in Italia non è conveniente per via del costo del lavoro e delle troppe incertezze giuridico-normative ma è irrinunciabile. I clienti di tutto il mondo e i più importanti brand della moda infatti sono disposti a riconoscere un premium price al Made in Italy. Se non vogliamo perdere terreno sui mercati internazionali e pagarne le conseguenze con un altissimo costo in termini economici e sociali, non c’è altra scelta che far valere le ragioni del nostro patrimonio industriale in campo internazionale».

A questo link l'articolo di Eurispes 

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